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Animali di enormi dimensioni e smisurati appetiti, piccoli demoni, spiriti tutelari, entità del mondo ultraterreno, uomini che di notte si tramutano in uccelli… Sono questi i protagonisti del Bestiario mexicano di Claudio Romo, cinque creature “mostruose” della tradizione mesoamericana: il sinsimio, l’aluxe, il nahual, il waay pop e il waay chivo. Descritte nell’aspetto, i poteri, le abitudini e le varianti regionali, e corredate ciascuna di diverse tavole illustrative, queste creature dal nome esotico si rivelano del tutto sconosciute al nostro immaginario occidentale, eurocentrico e di matrice cattolica, il cui unico dio ha forgiato l’uomo a propria immagine e somiglianza per dominare la natura e da essa progressivamente estraniarsi. Ma le cose non stavano così presso le civiltà antiche, spiega Ivan Cenzi di #BizzarroBazar nell’introduzione al libro, quando “esisteva un forte legame tra tutti gli elementi del cosmo, che pur essendosi progressivamente differenziati avevano un’origine comune […] sicché la reversibilità dall’uno all’altro appariva del tutto naturale”. Nelle mitologie mesoamericane ritroviamo “la fusione con il regno animale [che] fu presente anche nel Vecchio Mondo in epoca pagana”.
Dopo averci condotto alla scoperta del fantasmagorico giardino di Apparitio Albinus e dell’isola Speculare e dopo un’odissea intergalattica ai confini del cosmo, in quest’opera Claudio Romo attinge alla tradizione del Centro America per presentare, in chiave moderna, i mostri mitologici e folklorici dell’area dello Yucatán, organizzandoli però alla maniera dei bestiari medievali, in un interessante corto circuito concettuale tra Vecchio e Nuovo Mondo. In filigrana emergono le brutture del colonialismo europeo che, incurante delle tradizioni delle antiche terre americane, ha portato con sé il proprio dio e le proprie usanze fino a stravolgere raffinate credenze millenarie.
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