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"I colori pastellati, morbidi, onirici di Mattotti danno la giusta consistenza a quest'uomo sfuggente. [...] Gli dà un volto e vi disegna sopra la mappa di una vita. Di un sogno." - Bruno Ventavoli su Tuttolibri - La Stampa.
Caboto? Cabot? Gavotto? Caputo? Gaeta? Di colui che fu Piloto Mayor del Regno di Castiglia per trent’anni e a cui si attribuisce il merito di aver tracciato il primo mappamondo non sappiamo con certezza neppure il nome. Di sicuro l’uomo noto ai più come Sebastiano Caboto nacque a Venezia, figlio dell’esploratore Giovanni Caboto, intorno agli anni 1477–1484, fu presto condotto in Inghilterra e tra questa e la Spagna divise per tutta la vita i suoi servigi di cartografo ed esploratore. Alcuni dicono che fu un ciarlatano, bugiardo e intrigante. Fin da quando Jorge Zentner iniziò a lavorare al testo, gli fu subito chiaro che il “racconto storico” al quale si accingeva in realtà non poteva che essere un “racconto del mistero”. Scrivere una biografia era impossibile: sarebbe stato come tentare di navigare per mari ignoti con l’ausilio di poche mappe incomplete e imprecise. Ma della mancanza di testimonianze certe e coerenti, l’autore e l’artista decisero di avvantaggiarsi, scegliendo di porre proprio il mistero al centro della loro opera. Le riflessioni sulla possibilità di narrare questa storia prendono così corpo nel lento monologo del narratore alle prese con una biografia ricca di lacune, le stesse delle carte geografiche di fine XV secolo, in cui vastissime zone inesplorate erano ancora bianche o contrassegnate da un punto di domanda. Rendendoci partecipi del proprio flusso di coscienza, il narratore cerca di addentrarsi nell’oscurità della mente di Caboto e dei suoi uomini e al contempo si interroga sulla difficoltà di un racconto che richiede di compiere delle scelte, orientarsi tra fonti contraddittorie, tessere insieme le fibre di innumerevoli destini personali, senza alcuna certezza del confine tra la verità storica e la propria immaginazione. L’avventura intorno alla quale ruota il libro cominciò il 3 aprile del 1526, a Sanlúcar de Barrameda, con l’obiettivo di trovare un passaggio verso le Molucche, verso il territorio delle spezie. Le navi arrivarono alla costa del Brasile, all’altezza del Pernambuco, e qui Caboto riunì gli ufficiali della spedizione comunicando un cambiamento nei piani: voleva entrare, per esplorarlo, nel Río de la Plata. I motivi del cambio di rotta sono ignoti: alcuni parlano di un incidente di navigazione, altri di patti segreti con Re Carlo I, altri ancora vi leggono la febbre dell’ambizione economica, alimentata dai racconti di chi era sopravvissuto alle precedenti spedizioni. Ma, al di là della vicenda, a emergere da queste pagine è soprattutto il carattere forte ed enigmatico di Caboto, emblema di una civiltà imperialista e al tempo stesso novello Ulisse dantesco, incarnazione dell’ambizione e della sete di conoscenza. Le tavole, realizzate con pastelli e matite colorate, si richiamano ai dipinti del Cinquecento e del Seicento (in particolare, quelli di Caravaggio e Velázquez) e a opere cinematografiche come Aguirre, furore di Dio di Werner Herzog. In alcune immagini Mattotti integra fotocopie a colori di documenti storici, ritoccate in modo da ricreare l’aspetto polveroso degli antichi manoscritti. Dominano immensi paesaggi con una prevalenza di tonalità scure, che ci invitano a far saltare ogni punto di riferimento per addentrarci nel cuore di tenebra, abbandonarci a un viaggio senza ritorno verso l’ignoto.
Prima opera di Mattotti a tema storico, Caboto è stato originariamente realizzato su commissione dell’editore spagnolo Planeta per il cinquecentenario della scoperta dell’America. Apparso in traduzione italiana nel 1997 per l’editore Hazard, il libro è oggi ripubblicato come terza tappa di un progetto editoriale che ripercorre l’evoluzione artistica del Lorenzo Mattotti fumettista. Preceduta nel 2017 dalla pubblicazione di Ghirlanda, opera vincitrice del Gran Guinigi 2017, che ha segnato il ritorno di Mattotti al fumetto dopo quasi quindici anni, la collana è stata inaugurata lo scorso marzo con l’uscita del volume L’uomo alla finestra, seguito da Stigmate. Nella primavera del 2019 vedrà la luce il quarto titolo, Lettere da un tempo lontano e a seguire La zona fatua, Il signor Spartaco, Labirinti, Chimera e Doctor Nefasto. I volumi sono riproposti in una nuova veste grafica di grande formato e arricchiti da contenuti inediti.
Lorenzo Mattotti vive e lavora a Parigi. Terminati gli studi di architettura, pubblica i suoi primi fumetti alla fine degli anni ’70 e, all’inizio degli anni ’80, fonda con altri artisti il collettivo Valvoline. Nel 1984 realizza Fuochi, che viene accolto come un evento nel mondo del fumetto e si aggiudica importanti premi internazionali. Il suo lavoro, da Incidenti a Stigmate, passando per Signor Spartaco, Doctor Nefasto, L’uomo alla finestra e numerosi altri titoli, evolve nel segno costante di una grande coerenza e, al contempo, dell’eclettismo di un artista che sceglie di esplorare continuamente nuovi territori. Oggi i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo, mentre i disegni appaiono su riviste e quotidiani quali The New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Süddeutsche Zeitung, Le nouvel Observateur, Corriere della Sera e la Repubblica. Nell’ambito della moda e del design, Mattotti interpreta i modelli dei più noti stilisti sulla rivista Vanity e, nel 2010, realizza tutte le copertine del mensile Domus. Illustra vari libri per l’infanzia, tra cui Pinocchio ed Eugenio, che nel 1993 si aggiudica il Grand Prix di Bratislava, uno dei massimi riconoscimenti nel settore dell’editoria per ragazzi. Realizza copertine, campagne pubblicitarie e manifesti, tra gli altri per il Festival di Cannes, nel 2000, e per l’Estate Romana. Nel 2002 pubblica Jekyll & Hyde e nel 2003 Il rumore della brina, entrambi per Einaudi e, nello stesso periodo, I manifesti di Mattotti (2002) e Angkor (2003) per Nuages; nel 2008 escono Appunti sul paesaggio per Tricromia e Le avventure di Pinocchio per la collana “I Millenni” di Einaudi; nel 2009 pubblica, per Orecchio Acerbo/Gallimard, Hansel e Gretel, le cui incredibili illustrazioni affiancano i testi di Neil Gaiman nell’edizione americana. Nel 2010, da una collaborazione con Lou Reed nasce l’opera The Raven (Il corvo, Einaudi, 2012). Mattotti lavora anche per il cinema: nel 2004, contribuisce al film Eros di Wong Kar-wai, Steven Soderbergh e Michelangelo Antonioni, curando i segmenti di presentazione di ogni episodio; nel 2007 realizza uno dei sei episodi del film d’animazione collettivo Peur(s) du noir – Paure del buio; nel 2011 lavora alle sequenze animate del film di Charles Nemes, Il était une fois... peut-être pas e nel 2012 porta a termine gli sfondi e i personaggi del film d’animazione Pinocchio di Enzo D’Alò. Nel 2012 #logosedizioni inaugura la collana “Works”, con un primo volume dedicato alle illustrazioni a pastello, seguito dal volume dedicato al mondo della moda. Nel 2013, sempre per #logosedizioni, esce l’opera visionaria Oltremai che viene esposta alla Pinacoteca di Bologna. Nel 2014 realizza Vietnam per la collana “Travel Book” di Louis Vuitton e nel 2017 torna a collaborare con Jerry Kramsky, realizzando un nuovo graphic novel dal respiro epico, Ghirlanda (#logosedizioni). Ghirlanda vince il premio Gran Guinigi durante l’edizione 2017 di Lucca Comics & Games. Numerose le sue esposizioni personali, tra cui l’antologica al Palazzo delle Esposizioni di Roma, al Frans Hals Museum di Haarlem, ai Musei di Porta Romana di Milano, fino alle più recenti, la retrospettiva Sconfini (2016–2017) e Covers for The New Yorker (2018), per le quali #logosedizioni ha curato i cataloghi. Nel 2018 #logosedizioni inaugura una nuova collana che ripropone in una nuova veste l’evoluzione artistica del Mattotti fumettista, a partire da L’uomo alla finestra e Stigmate. Recentemente Lorenzo Mattotti ha diretto il lungometraggio di animazione La famosa invasione degli orsi in Sicilia, tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati, uscito nell’ottobre del 2019 e presentato al Festival di Cannes 2019 nella selezione “Un certain regard”. L’universo di Mattotti spazia ormai, senza soluzione di continuità, tra fumetto, pittura, illustrazione e cinema d’animazione.
Con #logosedizioni ha pubblicato: Venezia - Scavando nell’acqua (2011), Venezia - limited edition (2011), Mattotti Works 1 (2012), Oltremai (2013), Mattotti Works 2 -Moda/Fashion (2014), Nell’acqua (2016), Sconfini (2016), Stanze (2016), Oltremai - trade edition (2017), Ghirlanda (2017), La stanza (2017), Blind (2017), Covers for the New Yorker (2018), L’uomo alla finestra (2018), Stigmate (2018), Caboto (2018), Lettere da un tempo lontano (2019), La zona fatua (2019), Il signor Spartaco (2020), Romeo e Giulietta (2021) Riti, ruscelli, montagne e castelli (2021), Labirinti (2021), Città, incroci, amori e tradimenti (2022), Il rumore della brina (2023) e Fuochi (2024).
Jorge Zentner nasce in Argentina nel 1953 e nel 1977 si trasferisce a Barcellona, dove tuttora vive. Dedica molti anni alla lettura e alla scrittura, pubblicando testi per bambini, adolescenti e adulti: romanzi, racconti, poesie, saggi, recensioni letterarie e soprattutto fumetti. È autore di numerose sceneggiature illustrate da Rubén Pellejero, Lorenzo Mattotti, Carlos Nine, Marcello Quintanilha, David Sala, Bernard Olivié, Aude Samama e altri artisti. Oltre quindici anni fa, la sua vita subisce un radicale cambiamento di rotta: abbandona la narrativa per dedicarsi al counseling esistenziale, aiutando le persone a lavorare sulla conoscenza di sé, la rieducazione emozionale e l’espressione creativa.
Con #logosedizioni ha pubblicato: Caboto (2018) e Il rumore della brina (2023).
#ILLUSTRATI #logosedizioni
Navigatore, cartografo ed esploratore delle Americhe, Sebastiano Caboto fu al servizio di Spagna e Inghilterra negli anni immediatamente successivi alla scoperta del nuovo continente. Su di lui ci sono pervenute poche notizie, frammentarie e contrastanti. A complicare la ricostruzione della sua vita è soprattutto l’esistenza di documenti contraddittori e di scritti apocrifi a lui attribuiti, mentre la sua figura è da sempre controversa: c’è chi lo dipinge come un debole, bugiardo, vile e addirittura usurpatore dei meriti del padre, e chi lo esalta come uomo forte, coraggioso e sapiente, animato da un’invincibile ambizione. Probabilmente non ha giocato a suo favore il fatto di aver diviso i suoi servigi, da straniero, tra due stati rivali, Inghilterra e Spagna, e soprattutto gli hanno recato danno la gelosia e la diffidenza di piloti e cosmografi coevi. Ma, nel mare magnum delle fonti incerte, è possibile rintracciare alcuni punti fermi che ci permettono di ricostruire, a grandi linee, la sua storia. Certo è che nacque a Venezia, figlio dell’esploratore Giovanni e di Mattea Caboto, presumibilmente tra il 1475 e il 1477. Nel maggio del 1497 iniziò ad accompagnare il padre nei suoi viaggi al servizio dell’Inghilterra, partecipando tra l’altro alla spedizione in Canada a bordo della nave Matthew.
Nel 1512 Sebastiano fu assunto da Enrico VIII d’Inghilterra come cartografo a Greenwich e nello stesso anno venne nominato capitano da Ferdinando II d’Aragona. Alla morte di quest’ultimo, nel 1517, tornò in Inghilterra e nel 1522 fu nuovamente in Spagna, a Siviglia, dove divenne membro del Consejo de Indias con il grado di piloto mayor nonché il cosmografo più importante del regno, responsabile del “Padron Real”, ovvero la carta del mondo, che veniva via via aggiornata con le notizie riportate da ogni spedizione di ritorno dalle Indie Occidentali. In quel periodo offrì segretamente i suoi servigi alla Repubblica di Venezia per organizzare una spedizione al fine di trovare il passaggio a nord-ovest per la Cina. A questo punto iniziano gli eventi su cui si incentra il libro che Mattotti e Zentner dedicano all’esploratore veneziano. Grazie al racconto di alcuni sopravvissuti, Caboto viene a conoscenza della spedizione spagnola di Juan Díaz de Solís che l’8 ottobre 1515 era salpato da Sanlúcar de Barrameda per raggiungere le Molucche, note come “isole delle spezie”. La spedizione aveva seguito la costa orientale presso la foce del Rio de la Plata, denominato Mar Dulce, raggiungendolo nel febbraio del 1516 per poi risalire fino alla confluenza dell'Uruguay con il Paraná. Qui, con altri membri dell’equipaggio, Díaz de Solís era stato attaccato e ucciso da un gruppo di indigeni. Affascinato dai racconti dei superstiti, che parlano di terre dalle grandi ricchezze, Caboto parte il 3 aprile 1526 da Sanlúcar de Barrameda con l’obiettivo di trovare a sua volta un passaggio verso le Molucche. Le navi arrivano alla costa del Brasile, all’altezza del Pernambuco, dove Caboto riunisce gli ufficiali e comunica loro un cambiamento nei suoi piani: vuole entrare, per esplorarlo, nel Río de la Plata, pensando di poter giungere così nel favoloso regno di Birù (Perù), che non è ancora stato conquistato. Nella zona dell’attuale città argentina di Santa Fe, Caboto fonda un villaggio fortificato, detto di Sancti Spiritu (Santo Spirito) e rimane nella regione per vari anni, esplorando alcuni fiumi delle vicinanze e conducendo spedizioni di carattere naturalistico. Frattanto i suoi luogotenenti Francisco César, Francisco de Rojas, Martín Méndez e Miguel de Rodas si addentrano nella regione alla ricerca del Perù, probabilmente raggiungendo solo la zona dell'attuale Bolivia. Nell’agosto 1530 il villaggio di Sancti Spiritu viene distrutto dai nativi, così Sebastiano decide di rientrare in Spagna, dove chiede a Carlo V altre navi per una nuova spedizione, richiesta che viene respinta, anche perché il re ha concesso a Francisco Pizarro l’autorizzazione alla conquista del Perù. Il 1° febbraio 1532 Sebastiano viene incarcerato nelle prigioni spagnole del Nord Africa con l’accusa di aver abbandonato i suoi luogotenenti. Muore a Londra nel 1557 mentre organizza un’impresa esplorativa per conto della “Company of Merchant Adventures” allo scopo di trovare il mitico passaggio a nord-ovest. Come spiega lui stesso nell’introduzione al volume, accingendosi a redigere il testo Jorge Zentner pensava di dover lavorare sotto il segno del cosiddetto “racconto storico” ma ben presto si rese conto che non poteva che trattarsi di un “racconto del mistero”, data l’assenza di informazioni certe sulla vita e sulla personalità di Caboto. Si dispose così a un lavoro somigliante a quello del cartografo vissuto nel XV secolo, ovvero cercare di rappresentare il pianeta terra lasciando vasti spazi bianchi e punti di domanda. Così come il cartografo si trovava di fronte ad ampie zone inesplorate, il narratore si affaccia su un insondabile abisso. “Il racconto scava nell’oscurità”, si avverte fin dalla prima tavola, mentre ci si spalanca innanzi il turchese del mare e del cielo di una Siviglia accarezzata dalle luci della notte. Da subito ci colpisce la potenza delle immagini, realizzate con pastelli e matite colorate e ispirate ai dipinti del Cinquecento e del Seicento (in particolare, le opere di Caravaggio e Velázquez) e a opere cinematografiche come Aguirre, furore di Dio di Werner Herzog. Con una zoomata, entriamo nel palazzo, poi nella stanza, e infine nello sguardo di Caboto. I suoi occhi squarciano il buio e a poco a poco il suo volto emerge per poi tornare a dissolversi, enigmatico. Il narratore si sforza di ricostruire quel volto, chiedendosi se davvero sia possibile farlo a partire dalle testimonianze scritte, cancellate e riscritte lungo il corso dei secoli, nel mare agitato della memoria storica. Gli occhi neri di Caboto ci fissano con un inquietante sguardo obliquo, come se al contempo andassero oltre, irrequieti, verso nuovi misteri da espugnare. Dapprima Caboto ci appare come uno studioso intento al lavoro alla luce flebile delle candele, con i suoi strumenti, la penna, il compasso, le carte, gli antichi manoscritti (il cui aspetto polveroso viene ricreato in alcune immagini integrando fotocopie di documenti storici), finché i colori si rischiarano nell’azzurro del cielo e del mare contro il quale si stagliano le navi della sua spedizione. La prima cosa da fare è scegliere: a un certo punto della sua spedizione verso le isole Molucche, Caboto decide di abbandonare la rotta prestabilita per dirigersi invece verso il Río de la Plata, a suo parere il modo più rapido per raggiungere la Sierra de la Plata. Analogamente il narratore sceglie di raccontare proprio quel viaggio, o meglio, come avverte, una versione del viaggio. La sua. Senza alcuna pretesa di trasmettere una verità inconfutabile. Narrare è sempre frutto di scelte, è come inventare ricordi, immaginare scene. È “un’occupazione da sopravvissuti”, come si torna a ripetere, perché è proprio da un racconto di superstiti, gli uomini dell’equipaggio di Solís, che prende le mosse la vicenda di cui veniamo messi a parte. La storia procede attraverso le immagini e i dialoghi mentre in controcanto la voce narrante si interroga su quanto ci viene offerto. “Si svolsero esattamente così i fatti?” è la domanda che ricorre, esplicitamente o semplicemente risuonando, fino alla fine del libro, che ci lascia con un senso di incertezza e con molteplici interrogativi. Con mirabile sintesi, Mattotti e Zentner riescono ad addentrarci nel “cuore di tenebra” di paesaggi intatti, densi di promesse ma anche di pericoli, nel cuore di un uomo guidato da una grande ambizione e sete di conoscenza, capace di scrutare le mappe del cielo e il cuore degli uomini, emblema di una civiltà imperialista e novello Ulisse dantesco. Ma al contempo ci offrono una riflessione articolata e densa di spunti sull’atto del narrare e sulla memoria storica. Sulla possibilità stessa, verrebbe da dire, di una storia con la S maiuscola. Prima opera di Mattotti a tema storico, Caboto è stato originariamente realizzato su commissione dell’editore spagnolo Planeta per il cinquecentenario della scoperta dell’America. Apparso in traduzione italiana nel 1997 per l’editore Hazard, il libro è oggi ripubblicato da #logosedizioni, con un’introduzione alle tavole comprendente tutte le immagini realizzate dall’artista per le varie edizioni del volume.
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Francesca Del Moro
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