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"Le figure longilinee e le linee lunghe, ampie, si confondono in una cosa sola, lasciando il posto a un’esplosione temporanea di ghirigori, vortici e linee frastagliate. È il caos interiore, l’angoscia, che non sempre si riesce a dominare. Ma in fondo è anche il mondo esterno, oggi più che mai reso caotico dagli esseri umani. Un mondo che è diventato il riflesso del nostro scompiglio. Il caos, soprattutto se primordiale, è sinonimo di creazione." - Francesco Boille su Internazionale.
La prima graphic novel di Lorenzo Mattotti viene oggi ripubblicata da #logosedizioni come avvio di un percorso editoriale che ripropone in una nuova veste l’evoluzione artistica del più amato tra gli illustratori italiani. Un romanzo fatto di parole e immagini in bianco e nero che appaiono evanescenti ed evocative, creano spazi da riempire. Protagonista della storia è uno scultore con gli occhi “morbidi” e una personalità sfuggente; dalla sua finestra sui tetti osserva il piccolo universo della città in trasformazione immaginando altre luci e lontane quotidianità. La sua vita si intreccia a quella di una serie di personaggi che gli offrono l’occasione di pensare e di ripensarsi. Tra questi spiccano tre figure femminili: Irene, la ex moglie a cui è legato da un rapporto tenero e irrisolto; Aurora, un incontro casuale culminante in un momento di passione; la botanica Miriade che si dedica alla sua serra in attesa di ricevere le piante che l’amato le invia dai suoi viaggi. Tra i personaggi maschili, l’amico filosofo costretto in un letto di ospedale, lo “squarciatore” che non riuscendo a sostenere l’impatto delle opere d’arte prova l’impulso di distruggerle, il professore che per viltà si sottrae all’affetto di Miriade. L’esplorazione di queste relazioni si sviluppa fianco a fianco con il tema della creazione artistica che, al pari dei rapporti umani, non serve a “far nascere ancora solidità o altre sicurezze, ma perché più cose si sfiorino, e sfregandosi appena creino altro”. Tutte queste tensioni prendono corpo nei poetici dialoghi firmati da Lilia Ambrosi e nelle immagini in cui i segni rarefatti a penna sottile delle figure coesistono con geometrie urbane rese accuratamente, mentre il tratto si sfalda, anche nelle architetture, sotto la pressione delle perturbazioni atmosferiche, e deflagra nelle sequenze dedicate agli incubi, riecheggiando lo stile di Jackson Pollock e preannunciando il Mattotti di Hansel & Gretel e di Oltremai.
“Certe persone ti restano addosso come cicatrici” spiega il protagonista all’amica Miriade. E di questo libro si può dire lo stesso.
Nato a Brescia nel 1954, Lorenzo Mattotti vive e lavora a Parigi. Fin da giovanissimo si dedica al disegno e al fumetto, che inizia a pubblicare alla fine degli anni ’70, e negli anni ’80 fonda con altri artisti il collettivo Valvoline. I suoi disegni appaiono su riviste e quotidiani di tutto il mondo: The New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Süddeutsche Zeitung, Le nouvel Observateur, Corriere della Sera e la Repubblica. Realizza i manifesti per il Festival di Cannes e per la Biennale de Cinema di Venezia. Ha collaborato con il mondo della musica (The Raven di Lou Reed) e del cinema: Eros di Wong Kar-wai, Soderbergh e Antonioni; Pinocchio di Enzo D’Alò; e nel 2019 ha diretto La famosa invasione degli orsi in Sicilia, tratto dal romanzo di Buzzati.
Con #logosedizioni ha pubblicato: Venezia Scavando nell’acqua (2011), Venezia ed. limitata (2011), Mattotti Works Pastelli (2012), Oltremai (2013), Mattotti Works Moda/Fashion (2014), Nell’acqua (2016), Sconfini (2016), Stanze (2016), Oltremai trade edition (2017), Ghirlanda (2017), La stanza (2017), Blind (2017), Covers for the New Yorker (2018), L’uomo alla finestra (2018), Stigmate (2018), Caboto (2018), Lettere da un tempo lontano (2019), La zona fatua (2019), Il signor Spartaco (2020), Romeo e Giulietta (2021) Riti, ruscelli, montagne e castelli (2021), Labirinti (2021), Città, incroci, amori e tradimenti (2022), Il rumore della brina (2023), Fuochi (2024), Fuochi edizione limitata (2024) e Nell’acqua nuova edizione (2025).
Nata a Trieste nel 1957, Lilia Ambrosi si è diplomata al liceo classico e si è poi laureata in lingue e letterature straniere. Trasferitasi a Milano, ci ha vissuto per una decina d’anni lavorando nell’editoria, in particolare per una casa editrice araba per bambini. Ha scritto alcuni manuali e tradotto numerosi libri. Ha curato testo e sceneggiatura di fumetti con diversi disegnatori pubblicando in Italia e all’estero. A Bologna ha fatto parte della redazione della rivista di cultura e fumetti Dolce Vita, diretta da Oreste del Buono. Sempre a Milano, per un periodo ha sperimentato l’insegnamento dell’italiano a stranieri. Tornata nella sua città natale, ha collaborato con la sede regionale di Radio RAI parlando di libri e ha scritto a lungo per Il Piccolo, quotidiano di Trieste, di arte e ancora di libri. Per una decina d’anni ha collaborato stabilmente con la rivista Illywords intervistando grandi scrittori. Continua a tradurre e da molti anni insegna inglese nella scuola secondaria.
#ILLUSTRATI #logosedizioni
Era il 1992 quando L’uomo alla finestra usciva per la prestigiosa collana di letteratura I Canguri di Feltrinelli, affermandosi come uno dei primi fumetti realizzati volutamente in forma di romanzo. Ventisei anni dopo, il libro viene riproposto da #logosedizioni in una veste grafica rinnovata e con l’aggiunta di contenuti inediti, come prima uscita di una collana che ripercorre le principali opere del Mattotti fumettista. L’autrice dei testi, Lilia Ambrosi, nella sua prefazione parla della necessità di fermare un viaggio, quello che lei e Mattotti avevano compiuto insieme nella vita e nell’arte, condividendo “molta poesia, qualche sogno, tanti paesaggi e alcune speranze”. Tra queste ultime, in particolare, il riconoscimento della dignità del fumetto come mezzo artistico, una cosa che al tempo era tutt’altro che scontata. E non c’è dubbio che L’uomo alla finestra, da molti salutato come il primo graphic novel pubblicato in Italia, rappresenti un passo importante in questa direzione. Protagonista del libro è uno scultore “dagli occhi morbidi e gli sguardi stupiti”, che per vivere lavora come magazziniere alle poste. Il fatto che non abbia un nome ci porta da un lato a identificarlo con l’autore della storia che sappiamo essere almeno in parte autobiografica, dall’altro a immedesimarci in lui assumendo il suo punto di vista. Come vuole il titolo del volume, l’uomo ci appare nelle prime pagine – e lo sarà anche nelle ultime – intento a guardare fuori attraverso la finestra. Dalla sua casa può vedere il panorama della città che muta, con le fabbriche dismesse che vengono via via abbattute per costruire un centro direzionale. Dalla sua finestra sui tetti riesce a sentire lo stridere dei freni dei camion e immagina altre luci, tiepide quotidianità lontane. L’uomo ama anche camminare perché camminando è più facile parlare con sé stessi. Fin da subito, il protagonista del libro sembra essere alla ricerca di qualcosa e man mano che il racconto procede capiamo che si tratta di un punto di equilibrio, una definizione, un appiglio nel trascorrere caotico dell’esistenza. L’uomo si muove in mezzo ad architetture urbane dai contorni netti e al loro confronto appare ancora più evidente il suo essere irrisolto: sia lui sia gli altri personaggi sono infatti disegnati con un tratto sottile e a volte tremulo che tende a sfarinarsi, soprattutto per effetto degli agenti atmosferici – la neve, il vento e la pioggia – a dimostrazione di come tutto sia instabile, pronto a essere spazzato via. Anche il lavoro di scultore in fondo ha lo scopo di restituire un ordine al caos mettendo insieme pezzi di ferro, lamiere, schegge di persiane, motori arrugginiti, leggero filo di rame. È un modo per conservare i resti del passato e riportarli a nuova vita. La stessa cosa che l’uomo vorrebbe fare con le proprie esperienze. “Le angosce del mondo si possono racchiudere in una mano. Sono sempre le stesse: poche, quattro o cinque, ma infinite” è una frase che l’ex moglie gli rivolge e che potrebbe valere come chiave di lettura dell’intero libro. Stretti alle loro angosce, tutti i personaggi si mostrano fragili e perpetuamente alla ricerca del senso della propria esistenza. Questo vale soprattutto per il protagonista, che con gli altri intreccia relazioni in buona parte funzionali a fargli prendere le misure di sé stesso. Tre donne sono fondamentali in tal senso: la ex moglie, Irene, con cui ha un rapporto tenero e conflittuale, Aurora che incarna l’intensità della passione, e Miriade, un’amica botanica che sta diventando cieca. Irene offre all’uomo l’occasione per rimettersi in discussione e al tempo stesso il suo ricordo è una sorta di faro che lo guida, un ideale da riacciuffare con la consapevolezza dei propri errori passati. Aurora è un incontro fugace che rappresenta la ricerca di nuove esperienze e il momento di intimità trascorso con lei anticipa la poetica di Mattotti che ritroveremo in Stanze, Nell’acqua e in particolare in La stanza. L’amica Miriade è forse il personaggio più interessante del libro, con il suo nome che contiene moltitudini e la graduale perdita della vista che concretizza il tema cruciale della labilità dei punti di riferimento. Il suo sguardo che si sforza di definire i contorni delle cose riflette la difficoltà che ogni essere umano prova nel mettere a fuoco la propria vita. Oltre alle tre donne, altrettanti personaggi maschili danno risalto ad alcune caratteristiche del protagonista: l’amico filosofo costretto in un letto di ospedale lo accoglie menzionando i suoi sensi di colpa, il professore di botanica che si sottrae all’affetto di Miriade gli ricorda la sua stessa vigliaccheria, e infine lo ‘squarciatore’ incontrato al deposito dei rottami offre lo spunto per una riflessione sull’arte. Il soprannome deriva dal fatto che, incapace di sopportarne la potenza, a un tratto l’uomo ha preso a distruggere le opere d’arte, avventandosi per cominciare contro lo schermo di un cinema. È questo uno dei numerosi momenti in cui il libro si confronta con il tema della creazione artistica che, al pari dei rapporti umani, non serve a “far nascere ancora solidità o altre sicurezze, ma perché più cose si sfiorino, e sfregandosi appena creino altro”. C’è infine un altro personaggio che torna dal passato sotto forma di incubo: il nonno rimasto vittima di un incidente molti anni prima. Per il suo tramite, l’uomo si autoaccusa di essere già vecchio e di aver perso il contatto con la natura per cadere in balia di un’irrequietezza che non è libero slancio vitale bensì incapacità di trovare un luogo in cui fermarsi. In questa, come nelle altre sequenze degli incubi, i contorni delle figure deflagrano e il tratto si fa nervoso e marcato, riecheggiando i lavori di Jackson Pollock e anticipando lo stile che caratterizzerà Hansel e Gretel e Oltremai. Pur essendo intrisa di malinconia, la storia che ci viene raccontata attraverso le rarefatte immagini in bianco e nero e i dialoghi poetici ci comunica un senso di pienezza, di profondità piuttosto che di tristezza. Come scrive Daniele Barbieri nella postfazione, “in questa vita raccontata che non riesce a sbocciare e alla fine sboccia forse e appena ci sono tutte le fioriture del mondo, tutti i sapori della nostra vita”.
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Francesca Del Moro
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